Ad un certo punto della nostra esistenza musicale appaiono gli effetti…
Di solito, la prima visione ce l’abbiamo dopo i primi miglioramenti, in periodo di stasi tecnica in cui non ci si piace un gran che e i nostri amici del gruppo cominciano a guardarci strani, allora pensiamo che abbiamo bisogno di rinnovamento; e cosa di meglio se non un paio di effetti? …un po’ come una signora dal parrucchiere.
Negli anni Ottanta iniziò una rivoluzione musicale che spostò il suono ruvido della band e del rock, verso suoni più sofisticati: batterie elettroniche, molte tastiere e chitarre con quintali di effetti. Dalla voglia di portare tutto questo anche dal vivo scoppiò la prima mania sugli effetti, ma i pedalini erano ancora primordiali così che se volevi essere “giusto”, dopo un po’ ti spendevi tutti i soldi per un rack pieno di lucine colorate e cristalli liquidi ed eri pronto per passare tutto i tuo tempo a “fare i livelli” ovvero a fare si che il suono di partenza, dopo venti passaggi e sei chilometri di cavi, avesse ancora una parvenza di dinamica e superasse il fruscio di fondo. Tutto questo tempo veniva tolto allo studio così che era normale vedere musicisti con grandi suoni e poca tecnica e musicisti con tanta tecnica ed un pessimo suono.
Il vero re degli effetti è per definizione, il chitarrista che raramente suona col timbro naturale dello strumento, anzi, a partire dal suono dell’amplificatore, impara a gestirne sempre uno “alterato” fatto di frequenze medio alte e quindi più facilmente lavorabile. Il Bassista con gli effetti invece non fa altro che sporcare il suono base che da lui ci si aspetta. Il suono del Basso infatti ha uno spettro larghissimo, un suono che potremmo definire “hi-fi”, ma con una ovvia predominanza sulle frequenze medio basse entro cui gli effetti più comuni hanno una pessima efficienza sonora e sono difficili da gestire.
Per questo motivo gli effetti per un bassista risultano spesso sprecati perché, se usati con la raffinatezza richiesta, diventerebbero inudibili e renderebbero ancora più confuso il suono base: l’unica chance rimane quella di usare gli effetti solo in modo estremo e di considerare la pedaliera come un giocattolone per quei rari momenti in cui possiamo o vogliamo essere protagonisti.
Intanto dividiamo per genere le nostre possibilità senza però addentrarci troppo in questioni tecniche.
1) Modulatori (chorus – flanger – phaser) – Il Chorus è, di solito, il primo giocattolo del bassista. Esso rappresenta una delle prime opportunità per sentirsi partecipe al sound e all’atmosfera del gruppo con un suono mistico e sognante. La bellezza del Chorus è determinata da una leggera modulazione del suono che si accavalla a quella del suono pulito creando un particolare effetto di movimento rotante. Se usato mono, l’effetto crea un tremolio della nota che toglie attacco al suono (infatti è consigliato per l’uso col plettro “alla Duran Duran”). Se usato stereo il suono perde consistenza e rende il basso inudibile e confuso. I primi tempi si cerca di dosarlo finemente ma dopo poco si comincia a mettere al massimo i parametri e ad usarlo in modo sempre più tamarro…
2) Distorsori– Su i distorsori si è visto di tutto: i Chitarristi non hanno più ritegno: super, turbo, metal, trash, hyper, dual, metal, nuclear… e possono gestire la distorsione in duemila modi. La saturazione per un bassista si rivela spesso complessa perché tutti i pedalini esistenti tolgono frequenze basse al suono e rendono metalliche quelle medio acute. Anche quando trovi un suono che sembra decente, provi a passare dal pulito al distorto e cominci a vomitare. L’unico modo è avere un canale specifico (e ultimamente qualche casa lo produce) nel pre da basso; oppure un pre da chitarra dedicato, per una distorsione naturale che sia regolabile dal gain e correggibile attraverso una equalizzazione specifica. In alternativa esiste il Fuzz che offre la classica opportunità al bassista di un suono estremo e quindi non confrontabile.
3) Regolatori di livello (compressori – limiter – gate) – Molto utili ai bassisti ma poco utilizzati sono proprio i compressori. Il compressore viene spesso usato come un semplice sustainer o come un limiter generico sugli amplificatori come ultima protezione per il pre ma la sua vera utilità è ben altra. Il compressore è, sinteticamente, un ottimizzatore del segnale, e il basso è fra i più grandi “devastatori” di segnale… Grazie al compressore il suono del basso può essere ripulito da picchi e frequenze inudibili che rendono ingovernabile il suono e i livelli. L’utilità di un buon compressore si scopre quando si comincia a suonare su grossi palchi o in studio dove tutti i piccoli problemi sono amplificati a mille; perciò, se non lo avete voi ve lo mette il fonico senza che lo sappiate. I buoni compressori sono costosi, quelli che normalmente gestiamo noi sono inutili giocattolini che appiattiscono la dinamica e quindi viziano la nostra tecnica, ma a volte questo è utile come per la tecnica slap e per il tapping.
4) Filtri (equalizzatori – wha – sinth) – I cosiddetti filtri sembrano sempre molto utili all’inizio perché appaiono come un passaporto di versatilità assoluta. In realtà scopriamo subito a nostre spese che ogni frequenza guadagnata significa un’altra frequenza fuori controllo e che meno se ne abusa e meglio è. Un equalizzatore è utile solo per correggere un suono ma mai per crearlo. Se col nostro strumento sognamo il suono di Marcus Miller non sarà certo un equalizzatore che lo potrà fare apparire dal nostro ampli. Gli equalizzatori più utili per un bassista sono i parametrici che comunque sono presenti in tutti gli amplificatori e permettono di trovare la frequenza desiderata per poi gestirla al meglio, ma sono anche quelli con cui è più facile fare danni.
L’effetto wha-wha può essere ricondotto ad una equalizzazione mobile del suono. In ogni pedaliera è possibile trovare i “touch-wha”, non più regolati dal movimento di un pedale (più adatti alle ritmiche chitarristiche), ma regolabili in base alla dinamica del suono per creare effetti simili ad un suono sinth. In effetti, proprio questi effetti simil-sinth sono forse i più divertenti da usare per un bassista proprio per la sonorità esasperata e molto Funk.
5) Armonizzatori (pitch shifter – octaver) – Un altro suono utile è l’octaver, ma che alla fin fine mantiene un vago sentore di “sinth dei poveri”. non dimentichiamo comunque che Pino Palladino ci ha fatto la sua fortuna… non provo nemmeno a descrivere e a parlare degli harmonizer: bellissimi quando li provi nei preset, ma poco utili per un bassista nella pratica.
6 Piani sonori (reverberi e delay) – Anche i reverberi e i delay, che sarebbero forse gli effetti più importanti per chiunque, non risultano adatti per il bassista in versione live. Dal vivo l’effetto sparisce in mezzo al suono della band e allora saremmo costretti a metterne troppo fino a fare un marmellatone generale. Solo alcuni tipi di reverbero permettono di mettersi in funzione non appena si ferma una nota con un gate intelligente ma anche questi effetti sono utili solo in studio o durante un assolo in cui noi siamo completamente esposti. Per essere udite tutte le sfumature necessarie, bisognerebbe essere ad un volume esorbitante e con una pulizia di frequenze specifica sulle basse, in modo tale da elevarsi enormemente dal suono del gruppo. Forse con un sei corde…
Come vedete per un bassista le soddisfazioni non sono tantissime.
La mia personale esperienza di bassista “effettato” l’ho vissuta a pieno dal ‘91 al ‘95, anni in cui suonavo con Raf in studio e dal vivo. Nell’arco di un paio di anni la mia strumentazione era diventata mostruosa e, grazie a consigli vari, avveniristica.
In pratica portavo con me una decina di spazi rack in cui tenevo un po’ di tutto. Il mio segnale, dal pre andava in una catena mono fatta di EQ a 30 bande e poi ad un compressore, per poi raggiungere un Crossover passivo che mi divideva il suono ai 140 hz circa. Tutto dentro ad un mixer: su un canale le basse mono e senza effetti su un altro le alte frequenze sulle quali aggiungevo gli effetti stereo (Pong delay, Chorus ecc). Io me ne stavo beato fra due casse JBL con un suono esagerato: anche quando volevo usare un chorus le basse mono mi davano lo stesso tantissima presenza, se poi suonavo degli armonici mi ruotava il mondo attorno… Però alla fine dei conti, neanche i miei colleghi se ne accorgevano un gran che di tutto questo ambaradan, a meno che non si registrava la serata ed allora fioccavano gli inutili complimenti. Per il fonico non era semplice gestire il mio suono, specialmente dentro ai palasport, dove il primo capro espiatorio del suono confuso è sempre il bassista e in definitiva, tutto quello sperpero di soldi e cavi era solo per il mio personale gaudeo.
La mia strumentazione attuale è molto semplice: bei bassi, bel pre, bel finale, bella cassa e basta, per cercare nel mio limite, di avere suoni semplici ma efficaci. Quando mi va o mi viene richiesto un suono strano, uso un multieffect di quelli con un po’ di tutto e lo uso pesantemente con suoni esasperati, poi torno al mio suono base usando un semplice looper, ovvero un aggeggio che fa passare il mio suono attraverso gli effetti solo quando serve per poi tornare a lasciarlo pulito e diretto quando non li uso.
Da un bassista ci si aspetta sempre una spinta sonora concreta; un ampli enorme e un suono violento (anche un po’ sporco) e tutti vi considereranno “tosto”. Anche se non bella, questa cosa ci fa capire come una delle nostre priorità di bassisti sia essenzialmente quella di tirare la botta giusta con un suono che abbia definizione e consistenza: il cosiddetto “punch”.
Ai giorni nostri non vanno più di moda i “rack” ma le pedaliere. La qualità dei pedalini ha raggiunto livelli esorbitanti e le possibilità timbriche sono diventate infinite; ma l’impressione è che, tolti pochi bassisti con le idee molto chiare o con determinate esigenze, molti usano gli effetti come un pass per guadagnare immagine sfruttando una stupida tendenza a giudicare i bassisti in base ai metri quadri di pedaliera, oppure per coprire le proprie carenze tecniche…
Con tutto questo non voglio scoraggiare chi cerca di personalizzare il proprio suono attraverso gli effetti; penso infatti, che la ricerca sui suoni sia un passaggio obbligato e che tutti dovrebbero perderci un po’ del proprio tempo anche solo per imparare ad usarli e capire a che cosa servono. Il problema per i bassisti è che, alla fine, quasi tutti tornano al cavo a molla dritto nell’amplificatore perché scoprono che quello è il vero suono che ci rappresenta e che è unico. La capacità tecnica e l’esperienza infatti, permettono di rendere versatile il proprio strumento e di ottenerne sonorità diverse senza usare effetti. La personalizzazione del suono arriva con lo studio prima che con una pedaliera: spesso, proprio cercando di essere veramente strani ci si uniforma a suoni comuni già risentiti.